alluvióne
s.
f. [dal lat. alluvio
-onis,
der. di alluĕre
«bagnare»].
-
Inondazione,
straripamento di acque di fiumi, di torrenti, o piovane; anche, il
periodo di piogge violentissime che provoca tale fenomeno - fig.
Grande quantità, sovrabbondanza (spec. di cose brutte o spiacevoli).
Acqua fredda, torbida, melmosa. La bocca di due enormi rospi che risucchiano e masticano le gambe fino al ginocchio e più su: i mostri, quelli più disgustosi e nascosti, compaiono e prendono il sopravvento sulla ragione, quando ti ritrovi immerso in paura, rabbia e sconforto. Sono stata travolta da una grande quantità di emozioni negative, da stati d’animo distruttivi che per osmosi sono penetrati nei tessuti fino in profondità e, raggiunto lo stomaco, si sono manifestati con quella sensazione…sì, quella sensazione che per un lapsus beffardo ho definito “farfalle nello stomaco”, facendo sorridere la terapeuta e che, correggendomi, ho battezzato “scarafaggi nello stomaco”, facendo inorridire la terapeuta.
Nulla è stato spazzato via, distrutto in un attimo, ma tutto era condannato ad una lenta agonia che lo avrebbe consumato in modo drammatico, sbriciolandolo o facendolo marcire. I ricordi, i punti fermi di un’esistenza tranquilla, forse banale, la stabilità mentale.
L’acqua è arrivata lentamente, procedendo inesorabilmente, trovando barriere e modi per superarle, aumentando esponenzialmente.
I quadri, le foto appese alle pareti, i soprammobili guardando dall’alto non capiscono, ma giudicano. Le prese di corrente, portatrici di energia, posizionate troppo in basso, sono le prime a soccombere. Anni di accumulo che partono da terra e puntano a raggiungere il soffitto, sono stati intaccati alle radici, il passato, e il rischio è che sprofondi tutto fino al presente.
Acqua statica ovunque, affascinante specchio per lampadari e soffitti, per cieli grigi solcati da elicotteri: l’immobilità dell’impotenza acquista sfumature poetiche.
Non avrei mai pensato che potesse succedere una cosa del genere.
E ora che faccio?
Abbasso il capo, lascio che l’acqua entri e raggiunga le prime vie aeree e l’anidride carbonica si sostituisca all’ossigeno, che lo stato di coscienza mi abbandoni, che si arresti il respiro e il cuore cessi di battere, che il cervello, privato di ossigeno, sia irrimediabilmente danneggiato, lascio che questa alluvione mi uccida.
Oppure?
Oppure mi metto in punta di piedi, alzo il mento e respiro … respiro ... respiro. E chiedo aiuto ad un medico specializzato che con medicinali e lunghe affettuose chiacchierate mi fornisce gli strumenti necessari: all’inizio è un cucchiaio, poi un secchio, poi ancora un’idrovora e infine il sole, e l’acqua torna a siti appropriati. Mentre riemergo, paura, rabbia, sconforto lasciano il posto a coraggio, serenità, consolazione. Lavoro fisico e mentale di ricostruzione e di ripristino di una situazione che non sarà più la stessa e che pertanto diventa costruzione a regola d’arte di un qualcosa che è nuovo, migliore.
Cancellati con la pittura i segni lasciati sul muro dal livello raggiunto dall’acqua, tutto ciò che era carta, cartoni, stoffe, elettrodomestici, tutto ciò che è stato marchiato mortalmente dal fango è finito in discarica. Il giardino vangato e seminato, presto si colora di verde e l’orto pretende amorevoli cure per ricambiare con i suoi frutti.
Nuovi capi di abbigliamento, una nuova acconciatura, il recupero di passioni troppo a lungo sacrificate, qualche follia e la consapevolezza che la fragilità mostrata è forza salvifica.
Passano gli anni, resta solo il ricordo. Talvolta è così grigio e così denso da segnare il viso, da togliere il fiato.
Acqua fredda, torbida, melmosa.
E ora che faccio?
Mi metto in punta di piedi, alzo il mento e respiro ... respiro ... respiro.